Nicolas Bourriud
La perplessità degli artisti all’evocazione della parola “arte” la dice più lunga sull’evoluzione del pensiero contemporaneo che tanti trattati di estetica.
Ma il termine non è privo di senso, al contrario: trabocca, al punto che oggi sarebbe difficile vedervi altro che una piattaforma costituita dalla sedimentazione dei suoi significati successivi….”Arte” è diventata una parola-parking che si svuota e si riempie in permanenza, di volta in volta ingorgata o disattesa, e posta sotto la tele-sorveglianza dei critici-controllori.
O anche una parola-poltrona, che la società dello spettacolo impiega solo per adagiarvi meglio la sua buona coscienza culturale.
Quale potrebbe essere il punto comune tra l’insieme degli oggetti e dei luoghi raggruppati sotto il vocabolario “arte mussulmana”, un saggio di Daniel Buren, l’arte naif, la decorazione, l’artigianato pittorico che consiste nel produrre dei begli oggetti, ed un “pensiero visuale” operante in situ? Una tale “locanda spagnola” continua si a significare qualcosa, ma al modo dei gioielli di famiglia, o delle parole ad uso comune.
E tuttavia parecchi artisti continuano a fare riferimento a definizioni dell’arte millesimate, imbottigliate ai tempi di Mondrian e Braque, o di Marie Lorencine. Ma ci sembra impossibile, sostenere seriamente che un artista contemporaneo, anche se utilizza – e non è poi molto frequente – i metodi e i supporti di un artista del XIX secolo, condivida con lui qualcos’altro che un sentimento di appartenenza a una corporazione, e la ricerca di una competizione spirituale con gli stessi fantasmi …Che cosa definisce un’attività se non i suoi obiettivi e la sua funzione sociale? Entrambi sono cambiati così radicalmente a partire dall’inizio del secolo e, di nuovo, dopo ventenni, che non intrattengono che dei rapporti tanto lontani – e tanto poco essenziali – quanto quelli che una bicicletta può avere con un’auto da corsa: il circuito non è più lo stesso e nemmeno i mezzi…
Tutto qui, ma non è poco.
L’idea che esista una ”essenza” immutabile dell’attività artistica, definita una volta per tutte e valida dalla grotta di Lascaux alle piantagioni di querce beuysiane, non serve altri interessi che la società dello spettacolo: se l’arte è data una volta per tutte, le deviazioni e i refusi non possono prestarsi ad alcuna conseguenza…Se l’arte è un campo chiuso, che non permette che un numero limitato di colpi, uscirne equivale a marginalizzarsi, a ritrovarsi fuori gioco, fuori dalla linea storica che giustifica e organizza l’attività artistica.
Pensare che l’arte sia una nozione data una volta per tutte è certo negare la sua storicizzazione come modello a profitto della storicizzazione dei suoi prodotti: le opere, gli stili. Significa evitare di porre la questione della natura, del ruolo e degli obiettivi che ogni società assegna ai suoi artisti, evitare di cercare di sapere come il potere controlla il fatto artistico, attraverso i modelli successivi che gli si propongono; ed inoltre significa rifiutare anche di vedere che la grandezza degli artisti odierni risiede in parte nella deformazione di quei modelli, e nella ricerca di altre strutture suscettibili di sopportare il loro discorso.
Non è un caso se gli artisti non cercano più veramente di sapere che cos’è l’arte: essi sanno troppo bene che cosa si nasconde dietro l’idealismo che consiste nel porre l’arte come un fatto acquisito.
Nulla è meno sicuro, infine, che l’esistenza di un’attività denominata “arte” !!!
Questo slittamento, ricondotto in ambito filosofico, è ancor più patetico: così quei critici che applicano alla lettera i programmi di Kant o di Hegel senza rendersi conto che l’oggetto dell’estetica si è trasferito. Oggi sappiamo che l’estetica non è affatto la scienza dell’arte, ma un modo di conoscenza storicizzato, valido in un dato momento, riguardante un certo tipo di arte, e mantenuto in respirazione artificiale da un buon numero di critici, come se lo sguardo sull’arte non potesse esercitarsi se non a partire dalle regole canoniche dello studio della percezione. Ecco di cos’è fatta la nostra attualità: dotti osservatori che applicano griglie dell’altro ieri su delle opere di ieri; artisti che fingono di dialogare con Rembrandt per meglio evitare di guardare i loro vicini di pianerottolo; messa in questione dei modelli storici da parte di estetologi che ignorano i modelli reali delle arti contemporanee. Se la critica si nutre di questi cadaveri teorici, è perché la loro carne molle le permette di mantenere senza troppa fatica l’illusione di avere ancora denti buoni per masticare.
Tratto dall’articolo di Flash Art anno XXV –N°167 aprile-maggio 1992