LA TECNICA SECONDO HEIDEGGER fa proprio l'ultimo passo sulla via dell'eliminazione di ogni residua differenza tra realtà "vera" e realtà "empirica".
L'organizzazione totale attuata dalla tecnica non è più solo nella teoria, ma si concreta effettivamente come ordine del mondo. "il linguaggio è la casa dell'essere" il linguaggio è la custodia della presenza.
Il linguaggio è annuncio, appello, e usa l'uomo come proprio messaggero.
Il linguaggio è monologo, cioè, è il linguaggio soltanto che parla, e parla esso solo.
"il linguaggio è la sede dell'evento dell'essere"
Le cose non sono anzitutto e fondamentalmente cose in quanto presenti nel "mondo esterno", ma nella parola che le nomina originariamente e le rende accessibili anche nella presenza spazio-temporale.
Il pensiero è fondamentalmente un ascolto del linguaggio nella sua originaria poeticità, per questo l'elemento, dentro cui la nostra esistenza si svolge, è la vicinanza di pensare e poetare.
In quanto è ascolto del linguaggio, il pensiero è ermeneutica. ( dottrina dell'interpretazione).
Heidegger
" La tecnica, ormai, non esiste. E' un'illusione." È il nostro modo arcaico di trasformare la natura a nostra immagine e somiglianza, modificando i nostri gesti quotidiani in atti eterni e divini che ci resistano, che sopravvivano a noi.
Quello che abbiamo perso è quel sentimento rinascimentale di dominio del nostro fare, che rassicurava la nostra esistenza, che ci permetteva di immaginare e costruire con le nostre mani un chiaro percorso della nostra vita in equilibrio con il mondo; la tecnica era questo, un metodo scientifico per costruire e dominare il nostro destino.
E' proprio vero che l'Arte è morta e noi viviamo costantemente con il suo rimpianto, cercando con struggente sentimento di nostalgia, con gli occhi, qualsiasi cosa che in natura possa ricordarcela.
In questa breve epoca di non senso( breve perché è vicina al collasso), dominata dal caos, dove siamo costretti a vivere nella perenne contraddizione e in continuo pericolo di vita, il senso della tecnica, come dominio del nostro fare non può esistere, si è sostituita, per noi artisti, con la ricerca degli occhi.
Gli occhi cercano ovunque con il desiderio di ritrovare un senso delle mani e si soffermano sulla Natura perché è l'unica che possiede ancora il segreto del tempo, nelle fasi di un divenire.
Ora che l'uomo è in una fase di grande evoluzione e la sua capacità di percezione si è modificata come la sua concezione del tempo, che sicuramente è più compressa, più accorciata, come si è accorciato il gesto del suo braccio, mi interessa il tempo di durata dell'attraversamento del fare che si forma nell'emotività soggettiva dell'esperienza.
Penso che la forza di un lavoro derivi dalla scelta di un soggetto che è già un significante e dalla riduzione o semplificazione della volontà narrativa che si ha nelle mani.
La scelta di una tecnica è già nella scelta del soggetto stesso; è la sintesi di ciò che è il soggetto scelto e ciò che si diventa davanti ad esso. E' sempre un rapportarsi, un varcare la soglia tra dentro e fuori, senza mai esporsi troppo. Spostare l'attenzione sul "fare arte" è per me, il vero soggetto e contenuto che rincorro costantemente.
Affermando che la "tecnica non esiste", dichiaro che questa non è più uno strumento d'espressione, ma l'ESPRESSIONE , il significante dell'opera.
3 commenti:
...Arte morta...Ma quanto rimpianto vero c'è, oggi,di quell'Arte?
A tal proposito credo, e comunque a suffragio della tua idea di assenza di tecnica, che ci sia una buona dose di compiacimento e di autocelebrazione nel fare Arte oggi. Compiacimento nel brandire e tenere illusoriamente in pugno l'EFFIMERO, asso pigliatutto in una epoca così globalizzata come la nostra. Compiacimento nel tenere l'effimero sempre un passo al di qua del suo tanto annunciato collasso. Perchè se ciò avvenisse, bè allora volenti o nolenti si dovrebbe cominciare a parlare di "ritorno all'ordine”, cosa che, benchè ancora da codificare, credo spaventerebbe più di quanto oggi si pensi. Come dire che l'effimero, il caos, la superficie e il mondo virtuale delle immagini che viviamo e da cui siamo vissuti, in un certo senso rassicurino.
Oggi, dove tutto è pellicola, derma superficiale del nulla emozionale, trovo che sia proprio l'OCCHIO a soffrire, che fatichi a "vedere”, perchè assuefatto dal nutrirsi di solo, uniformante, "guardare”.
Ciò che personalmente sento mancare nell'Arte (o nel fare Arte), è lo sguardo profondo(vultus), lo sguardo antico sul mondo, quello ficcante fatto di opposti, di vita e di morte, di sessi, di esigenze elementari quanto primordiali capaci di attraversare la pelle avvizzita e la carne disidratata della contemporaneità imperante.
L'Arte che si compiace di una sterile trovata nel fare e basta, e che si ferma al registro come alla constatazione del NON SENSO contemporaneo, credo sia in buona parte cenere spenta, fuliggine di quell'Arte passata e ormai bruciata che si vorrebbe rimpiangere.
Sono con te, per quanto riguarda la Natura e il segreto del tempo. In essa credo stia, ancora una volta, lo spartiacque epocale su cui fare surf e andare oltre la nostra, già di per sè effimera, esistenza.
Con stima.
Paolo Carletti
...per "FARE" e basta intendo riferirmi alla sensazione che personalmente traggo da molta arte oggi imperante. Ovvero da ciò che me ne viene se mi metto l'abito del fruitore e non quello dell'artista o dell'intellettuale fruitore di Arte che si sollazza aprioristicamente con seghe mentali. Per essere espliciti, potrei citare la passata Biennale di Venezia e pensarmi quale semplice appassionato d'Arte, tanto per fare un esempio. È come se persistesse, serpeggiante, l'ostinazione a dover stupire tramite quella che io definisco la "TROVATA STERILE". L'Arte per me, per quanto vi riconosca il FARE come parte preponderante , dovrebbe avere un'idea forte che veicoli quello stesso fare, e a maggior ragione se quello stesso FARE è dichiarazione stessa di poetica.
Io di idee forti in giro ne colgo poche. Può darsi anche per limite mio personale, ma se dico questo più che il contrario, alludo a un'idea di Arte che stupisca ed emozioni non certo per etichetta doc del "non ancora visto", che oggi sembra essere unica e dichiarata condicio sine qua non. Forse bisognerebbe interrogarsi più sul perchè, semmai, di una trovata. E non certo per rendere più didascalica l'Arte, che ben sappiamo quanto non lo sia, fortunatamente, per natura. Invece oggi ci si ferma piuttosto, o solo, al come.... Sarò franco Ketty, se ad esempio io guardo le tue spine e le tue rose, per quel po che ho visto ancor più che per quel po che so di te, e che di te mi sono costruito come idea, ne ricavo una sensazione di FARE che sotto porta uno scavo e un solco profondo, non so bene cosa, ma qualcosa di forte e portante che l'opera lascia passare. E credo che l'Arte debba essere proprio questo. Non dico ciò come o per attestato di stima nei tuoi confronti... ma per calcare volutamente la mano e sottolineare quelle virtualità falsanti che tu citi, e che io, se possibile con i panni del fruitore, annuso non certo in tutta ma in molta parte di quella che, per convenzione allargata, oggi chiamiamo arte contemporanea.
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